La famiglia
I vincoli familiari sono molto sentiti tra i vietnamiti che per secoli si erano ispirati al rigidissimo codice di Gia Long che fissava, nell'ambito della famiglia, rapporti di dipendenza assoluta della moglie e dei figli dal padre che aveva diritto di vita e di morte su tutti i suoi dipendenti.
II genitore poteva vendere la moglie o i figli darli in prestito o persino ucciderli senza con ciò incorrere in alcuna infrazione del codice. Il codice di Già Long e ormai solo un ricordo ed i sacrifici umani che esso autorizzava o prevedeva non si attuano da almeno mezzo secolo. La vecchia famiglia si va quindi disgregando man mano che si restringe la base feudale su cui poggiava e si instaurano rapporti famigliari dove l’elemento essenziale non è più la disciplina ma l’affetto.
Un tempo i rapporti umani dipendevano dai rapporti materiali: chi era padrone di un campo era anche padrone degli uomini, degli animali, dei prodotti che esso dava. Di quiqui la struttura accentrata di tipo patriarcale della famiglia e l'unione di più famiglie in un unico "ho” o “comunità di sangue”: ogni “ho” aveva un capo indiscusso (l’uomo più" ricco della comunità), dal quale dipendevano tutti i consanguinei fino alla quinta generazione. Ogni "ho” aveva un suo tempietto centrale, installato nella casa del capo della comunità, che simboleggiava l'unità della comunità , i suoi beni e il suo legame diretto con gli antenati. Oggi il sistema del "ho" sopravvive solo in alcune regioni della Cocincina, anche perché qui ha sempre avuto un carattere meno dispotico: capo del "ho", infatti, é l'uomo più anziano, che viene eletto in un'assemblea degli uomini ma non in base alla ricchezza.
Con il disfacimento del sistema del "ho" e il ripudio virtuale del codice di Gia Long, la famiglia vietnamita ha cambiato volto: la donna, ad esempio, un tempo nasceva schiava del padre e non aveva altra prospettiva che quella di diventare schiava del futuro marito; se restava vedova non acquistava la libertà, ma diventava schiava del figlio maggiore o, in mancanza di figli maschi, del parente maschio più stretto. Naturalmente tutto ciò oggi é vietato dalla legge ed i Vietnamiti non hanno ormai della famiglia una concezione molto diversa da quella occidentale.
Il dinh e la vita sociale
Oltre alle comunità di sangue "ho", le famiglie vietnamite sono legate anche da vincoli territoriali, amministrativi ed economici, che trovano la loro espressione tradizionale nel "dinh" o casa comune, che spesso assolve funzioni analoghe a quelle dei nostri municipi, ma che ha un posto molto più importante nella vita del popolo vietnamita, conservato ancor oggi. La spiccata inclinazione dei vietnamiti all'associazione e al collettivismo aveva determinato, già molti secoli fa, la formazione di collettività territoriali (o "comuni") chiamate "lang": accanto alla proprietà individuale privata esistevano vaste proprietà pubbliche dei "lang", che venivano date in affitto e i cui proventi servivano per l'esecuzione di opere pubbliche (il grandioso sistema di dighe e irrigazione artificiale del Tonchino e della Cocincina é dovuto a questo particolare metodo di gestione collettiva della terra); le proprietà del "lang" erano inalienabili e consistevano in risaie e in terre asciutte destinate a colture diverse. Il "dinh" era sede di discussione per la gestione delle proprietà del "lang" e per l'utilizzazione dei fondi sociali disponibili. Le inclinazioni dei Vietnamiti alla vita associativa non si limitano al campo economico e politico, ma abbracciano, si può dire, ogni attività.
Il matrimonio
Un tempo i matrimoni avvenivano in età molto giovane e accadeva spesso che gli sposi non si conoscessero nemmeno perché le rigide regole di Gia Long imponevano la segregazione totale delle donne sino al matrimonio. Lo stesso rito nuziale veniva a volte ridotto al minimo necessario e cioè ad un accordo tra i genitori degli sposi, che veniva ufficialmente sancito con il versamento di alcuni doni da parte dei genitori dello sposo a quelli della sposa: da quel momento i due giovani erano uniti in matrimonio e il nuovo marito si portava a casa la moglie che diventava sua proprietà personale.
Più frequentemente, però, il matrimonio avveniva in forma pubblica: fermo restando che la scelta degli sposi spettava comunque ai genitori e che gli sposi avevano solo il dovere di
obbedire alla volontà paterna, si aveva in tal caso un vero e proprio fidanzamento ufficiale: i genitori dello sposo si recavano nell'abitazione del padre della sposa, al quale offrivano betel, noce d'areca e bastoncini d'incenso che venivano collocati sull'altarino degli antenati. Le formalità erano sbrigate molto rapidamente perché il matrimonio era di fatto già concluso tra i due capofamiglia. Oggi il matrimonio, almeno nelle città, si svolge spesso alla maniera occidentale, con una semplice cerimonia davanti alle autorità religiose o civili. Moltissime e diverse sono invece le usanze connesse al rito nuziale tra le varie minoranze del Viet Nam.
Una singolare cerimonia precede il matrimonio dei Meo; anche qui, secondo la tradizione, i due sposi vengono prescelti dai genitori, ma non in base a calcoli di interesse economico, bensì sulla base del responso di un gallo e di una gallina che vengono lungamente interrogati da una specie di stregone: dal comportamento del gallo e della gallina si deduce se i due giovani sono fatti l'una per l'altro. Ma i Meo hanno saggiamente introdotto un'abile scappatoia per dare possibilità ai giovani di fuggire a questo tipo di matrimonio: se, infatti, un giovane rapisce la sua innamorata, è necessario che il matrimonio avvenga al più presto senza interrogare il gallo. Il rapimento è spesso inscenato ad arte, con il consenso degli stessi genitori, nel caso che approvino l'unione dei rispettivi figli.
Non meno singolare è una vecchia abitudine in uso tra alcune tribù Kna, le meno evolute di
tutto il Vietnam, che abitano sulla cordigliera annamita: dopo che i genitori hanno scelto i due sposi da unire in matrimonio, la sposa viene imbrattata nel modo più sconveniente possibile: le si fanno indossare gli abiti più laceri della famiglia e le si annerisce il viso con del carbone; come se non bastasse la sposa viene fatta rotolare nel fango e a volte addirittura cosparsa di sterco di cavallo o di bufalo. Quando e' ridotta in stato pietoso, viene accompagnata dai fratelli e dalle sorelle davanti alla casa dello sposo, il quale, appena vistala le rivolge parole di profonda ammirazione per la sua bellezza e le promette amore eterno: la credenza popolare vuole che tanto più grande è 'amore tra i due giovani, tanto più lacera e imbrattata appare la futura sposa agli occhi dello sposo e quante più belle parole egli sa trovare per decantare la sua gentilezza e la sua avvenenza.
Il culto dei morti
Il nucleo famigliare vietnamita è costituito non solo dai vivi ma anche dai morti, che continuano a costituire una comunità reale e legata da vincoli inscindibili. La morte è considerata un semplice ritorno momentaneo all'eternità, in attesa di una nuova incarnazione sotto altra forma che sarà condizionata dalla qualità e quantità delle azioni compiute nella precedente esistenza terrena.
Il culto dei morti era praticato in Vietnam sin da tempi antichissimi, molto prima dell'arrivo delle prime ondate immigratorie dalla Cina meridionale, ma il confucianesimo ha dato senza dubbio una visione organica ai rapporti tra la generazione vivente e gli antenati, rapporti dai quali dipende non soltanto la pace e la tranquillità delle anime dei defunti, ma anche la felicità e la fortuna dei vivi.
Secondo le credenze popolari legate al confucianesimo, ogni essere umano possiede un numero considerevole di anime: dieci per gli uomini e dodici per le donne; tra queste anime ci sono gli hon (in numero fisso di tre tanto per gli uomini quanto per le donne) che si stabiliscono nel corpo umano al momento della concezione, e i via (sette per ogni uomo e nove per ogni donna), che si insediano nel corpo umano al momento della nascita. Gli hon e i via, che sono puri e semplici geni personali, restano in contatto permanente con gli antenati e con le forze della natura, dotate esse stesse di spiriti.
Il prevalere degli spiriti buoni su quelli cattivi determina la felicità o l’'infelicità di un uomo: ecco perché bisogna sempre tenersi amico tanto gli hon quanto i via; se essi infatti prendono di mira una persona per qualsiasi torto subito, questo non può trovare la felicità e la tranquillità se non placando gli spiriti stessi.
Al momento della morte, i via sono richiamati dagli dei, ma gli hon rimangono sui luoghi di esistenza terrena del defunto e sono oggetto della venerazione popolare. Quando una persona muore, si compone una specie di scapolare che viene deposto sull'altarino degli antenati ed in esso si trasferiscono gli hon del defunto per continuare ad abitare sotto lo
stesso tetto dei famigliari ancora vivi. La presenza degli antenati nel sacello famigliare è quindi reale e non soltanto simbolica perché gli hon continuano a partecipare delle gioie e dei dolori dei vivi, i quali ricorrono ad essi per chiedere consigli, per offrire doni e per rivolgere preghiere di ringraziamento.
Gli hon continuano ad abitare la casa del defunto per cinque generazioni e per tutto questo periodo i loro scapolari vengono conservati sull'altare famigliare: dopo la quinta generazione, lo scapolare viene tolto e gli hon di quel defunto vengono venerati soltanto come antenati generici. La profanazione della memoria di un antenato è cosa che un vietnamita non riesce nemmeno a concepire. Gli antenati sono venerati da tutti, non soltanto dai loro famigliari stretti; le tombe sono oggetto di frequentissimi pellegrinaggi, mentre i sacelli famigliari sono continuamente adornati di fiori e da lampade o candeline accese.
Fonte:
Visto per il Vietnam